La storia di Roberto Escobar, il fratello del narcotrafficante che sognava di vincere il Tour de France e che amava Fausto Coppi

Tutti conoscono chi era Pablo Escobar. Quello che pochi sanno è che il più celebre narcotrafficante di tutti i tempi, che ha ispirato anche il mondo del cinema e della televisione per le sue peripezie, aveva un fratello di nome Roberto che aspirava a diventare un grande ciclista. Oggi, a 74 anni, vive in una zona collinare nei pressi di Medellín e ha deciso di raccontare a El País la propria vita da ciclista prima di diventare il braccio destro del capo di una delle organizzazioni criminali più brutali della storia. Il suo soprannome da ciclista era “l’Orso” perché un commentatore radiofonico, durante una gara, non riuscì a identificarlo quando al traguardo perché era ricoperto di fango dalla testa ai piedi. Negli anni sessanta era stato uno dei corridori più importanti del dipartimento di Antioquia prima di essere coinvolto nel cartello dopo il ritiro.

Non c’è un giorno che non mi manchi“, ricorda l’ormai ex trafficante cieco da un occhio a causa di una lettera-bomba, la cui storia è raccontata anche nel libro Reyes de las montañas. Nel corso della sua carriera ha gareggiato in tre Vuelta a Colombia e due Clásico RCN, tra le corse più importanti del paese che si disputano ancora oggi. Fu oro ai Giochi Bolivariani e bronzo in alcuni campionati nazionali. Fu anche acerrimo rivale di Martín Emilio “Cochise” Rodríguez Gutiérrez, vincitore di due tappe al Giro d’Italia negli anni ’70 e compagno di squadra di Felice Gimondi.

Ritiratosi all’alba dei 30 anni, divenne allenatore e anche direttore tecnico prima di fondare una squadra, la Ositto Bicycles, con una doppia T per darle un tocco italiano. Due decenni prima infatti, il grande campione Fausto Coppi aveva visitato la Colombia sul finire della sua carriera. Il Paese lo accolse come un eroe. Roberto racconta di essere andato, insieme a Pablo, a vederlo attraversare l’Alto de Minas, uno dei passi di montagna più difficili a bordo di una Vespa Piaggo 61. Quei due adolescenti rimasero colpiti dal fatto che eleganza, signorilità e buon gusto avessero un nome italiano.

Si salvò la vita costituendosi e scontando molti anni di carcere. Oggi segue alla radio le gesta dei corridori colombiani, sfuggiti alla criminalità, al Giro d’Italia e al Tour de France, che segretamente sognava di vincere: “Ora si rendono conto che ero bravo. Darei tutto indietro per la vittoria di un Tour de France“, ammette con malinconia.

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